Quando
negli anni sessanta la GT comincia ad essere applicata alla coppia e alla
famiglia, il trend terapeutico del tempo è quello di facilitare i membri
della famiglia a venir fuori dalla confluenza nevrotica (altrimenti detta
simbiosi), che contrassegnava gli anni precedenti, in modo da dar voce e spazio
alla soggettività. Questa nuova tendenza fa fibrillare la famiglia, che vive in
modo rigido e destabilizzante l’emergere delle diversità e delle soggettività. Quando
i livelli di intensità e di inconsapevolezza divengono apicali, è inevitabile
l’esplosione di disagi, spesso espressi dal sintomo patologico di un membro,
chiamato dai terapeuti familiari il ‘paziente designato’ (pd). Si tratta del
membro della famiglia andato in cortocircuito, in quanto antenna ricettiva ma
inconsapevole di un forte bisogno evolutivo di esprimersi e di uscire dalla
con-fusione familiare. Costui di norma non riceve sostegno dai genitori, anzi
viene etichettato come bad o mad. Il fine è quello di bloccarlo,
riconducendolo alla confluenza nevrotica familiare. Il paziente designato si fa
carico, insomma, con sofferenza incompresa e spesso indicibile, della spinta al
cambiamento, sua e dell’intera famiglia: spinta che gli altri membri della
famiglia non sono pronti ad avvertire ma che – per fortuna – non riescono più a
tacitare. Uscire dalle confluenze nevrotiche, essere se stessi e così via sono
le parole chiave che racchiudono i percorsi antropologici e clinici di questo
periodo storico. Espressione di tale Zeitgeist è la ‘preghiera
gestaltica’ di Fritz Perls, diventata quasi una bandiera della prima Gestalt:
«Io faccio la mia cosa, e tu fai la tua. / Non sono in questo mondo per
esaudire le tue aspettative. / Come tu non sei in questo mondo per esaudire le
mie. / Tu sei tu, e io sono io, / se per caso ci incontriamo, sarà bellissimo,
/ altrimenti, non ci sarà nulla da fare».
Giovanni
Salonia, Danza delle sedie e danza dei
pronomi. Terapia gestaltica familiare, ed. Il Pozzo di Giacobbe, Trapani
2017, pagg. 36-37
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