Distinguere
comportamenti dai vissuti – come è ben descritto nelle accurate analisi che
rendono utile e prezioso il testo che introduco – è una premessa decisiva a
livello di intervento clinico. Da precisare che l’esperienza della dipendenza
sana è altra rispetto a quella disfunzionale: hanno in comune solo il nome, in
realtà si tratta di esperienze relazionali totalmente differenti. Come
paragonare la grazia dell’accucciarsi e dell’abbandonarsi del bambino all’aggrapparsi
impaurito, ossessivo o aggressivo della dipendenza patologica? Nella dipendenza
sana la grazia è donata dalla co-presenza del proprio corpo, del corpo
dell’altro e del ritmo del tempo (l’esperienza inizia e finisce); nella
dipendenza patologica manca l’altro (che è sostituito dalla sostanza
“manipolabile”), è annullato il tempo (l’esperienza non ha ritmo, non deve
finire) e, contrariamente alle apparenze, manca il proprio corpo. Questa
mancanza dell’esperienza della propria corporeità è il punto cruciale dell’addiction: il paziente, infatti, ha
bisogno della sostanza proprio perché non sperimenta la pienezza della propria
corporeità. L’assunzione della sostanza gli dà anzi un’esperienza violenta ed
intensa del corpo che, in quanto tale, lo allontana ancor di più da
un’esperienza di pienezza di esso. E’ come la differenza tra l’euforia e la
gioia: effimera e di superficie la prima, profonda e totale la seconda.
Giovanni
Salonia, Presentazione, in La relazione assoluta. Psicoterapia della
Gestalt e dipendenze patologiche, a cura di Giancarlo Pintus e Maria
Vittoria Crolle Santi, ed. Aracne, pagg. 26-27
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