È
possibile così per l’adulto aiutare il bambino a trasformare quella rigidità attraverso
infiniti pezzettini di esperienze positive, attraverso il gioco metaforico che
offre il permesso a ciascun bambino di essere tutte le cose, di esplorare con
discrezione le inclinazioni nascoste dentro di lui e sentir rinascere la
possibilità del lieto fine, come nella fiaba: quella opportunità in più,
riservata solo a lui, di farcela, di potersi pensare bene. Ogni volta che un
bambino racconta un pezzetto di sé prendendo a prestito l’incipit immortale
‘C’era una volta’, ogni volta che si lascia andare con assoluta concentrazione nel
gioco di ruolo, impara delle cose su sé stesso e sul mondo, permette al proprio
desiderio di fluire come l’acqua attraverso un processo continuo di
trasformazione. Diversamente, quando non vengono visti o ascoltati i bambini
bloccano il processo di contatto con il mondo, smettono di esplorare e perdono
la capacità di creare e di esprimersi. E così interrompono il desiderio,
adottando piuttosto un comportamento stereotipato, così ben rinforzato dalle
richieste sociali del ‘sapersi comportare’. Le fiabe non parlano più la voce
del bambino, il gioco diventa ripetitivo e la narrazione di sé si comprime per
garantire la sopravvivenza necessaria, la tutela della ferita.
Dada
Iacono, Gheri Maltese, Come l’acqua… Per
un’esperienza gestaltica con i bambini tra rabbia e paura. Il Pozzo di
Giacobbe, Trapani 2012, pag. 82
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