Il
contatto obbedisce ad un ritmo vitale fatto di esperienze modificanti e di
successivi apprendimenti. Si forma in questo modo nell’organismo umano una
personalissima ‘tradizione’ che ognuno di noi utilizza per gli ulteriori passi
nel proprio mondo. Le abitudini depositate nella tradizione da un contatto
riuscito sono caratterizzate dal fatto che, pur agendo in maniera ‘riflessa’,
possono sempre essere portate alla consapevolezza e ristrutturate ‘in
situazione’. Se il contatto non è stato però sano ed adeguato, le abitudini che
si formano non sono frutto di una assimilazione funzionale e agiscono
disturbando le successive esperienze di contatto. Mentre il passato assimilato
opera quindi in maniera funzionale, il passato non assimilato si pone come
problema nella metafora del sintomo. Il sintomo è un testo che proviene al paziente
dalla tradizione personale divenuta ad un tratto problematica: è una questione ermeneutica.
Il paziente la porta in terapia perché il terapeuta lo accompagni nella ricerca
del senso. A rigore l’interprete primario è il paziente, il terapeuta che gli
sta accanto non ha alcuna meta ermeneutica da offrirgli. Ma non per questo
rimane passivo. Egli sa, infatti, che il sintomo è un testo, frutto del potere
creativo del paziente, e come ogni testo è – in senso ermeneutico – un appello che
vuole essere ascoltato.
Antonio
Sichera, Ermeneutica e Gestalt Therapy.
Breve introduzione ai fondamenti di una diagnosi gestaltica in G.
Salonia,V. Conte, P. Argentino, Devo
sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Ed. Il
pozzo di Giacobbe, pag. 12
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