Il sintomo è… una questione ermeneutica!

 Il contatto obbedisce ad un ritmo vitale fatto di esperienze modificanti e di successivi apprendimenti. Si forma in questo modo nell’organismo umano una personalissima ‘tradizione’ che ognuno di noi utilizza per gli ulteriori passi nel proprio mondo. Le abitudini depositate nella tradizione da un contatto riuscito sono caratterizzate dal fatto che, pur agendo in maniera ‘riflessa’, possono sempre essere portate alla consapevolezza e ristrutturate ‘in situazione’. Se il contatto non è stato però sano ed adeguato, le abitudini che si formano non sono frutto di una assimilazione funzionale e agiscono disturbando le successive esperienze di contatto. Mentre il passato assimilato opera quindi in maniera funzionale, il passato non assimilato si pone come problema nella metafora del sintomo. Il sintomo è un testo che proviene al paziente dalla tradizione personale divenuta ad un tratto problematica: è una questione ermeneutica. Il paziente la porta in terapia perché il terapeuta lo accompagni nella ricerca del senso. A rigore l’interprete primario è il paziente, il terapeuta che gli sta accanto non ha alcuna meta ermeneutica da offrirgli. Ma non per questo rimane passivo. Egli sa, infatti, che il sintomo è un testo, frutto del potere creativo del paziente, e come ogni testo è – in senso ermeneutico – un appello che vuole essere ascoltato.


Antonio Sichera, Ermeneutica e Gestalt Therapy. Breve introduzione ai fondamenti di una diagnosi gestaltica in G. Salonia,V. Conte, P. Argentino, Devo sapere subito se sono vivo. Saggi di psicopatologia gestaltica, Ed. Il pozzo di Giacobbe, pag. 12



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