Il
rischio dell’orgoglio e la necessità dell’onestà rendono la terapia personale
del terapeuta ‘interminabile’.
È
emblematico in tal senso l’esempio citato da Gabbard: una paziente di 28 anni,
a circa cinque minuti dalla fine, sta raccontando come durante una festa in
casa si era sentita poco valorizzata dal padre, che aveva prestato più
attenzione al fratello. Il terapeuta, volendo dare alla paziente un commento su
questo, guarda l’orologio per vedere se ne ha il tempo. La paziente,
accortasene, va su tutte le furie e comincia ad accusare il terapeuta di
disinteresse, di ascoltarla solo per motivi venali, di essere poco interessato
a lei. Il terapeuta, da parte sua, sostiene di aver guardato l’orologio solo
per accertarsi che il tempo rimasto fosse sufficiente a offrirle un commento terapeutico.
Il conflitto è aspro. La paziente insiste sul fatto, il terapeuta vuole ‘coprire
il sole con la rete’ rifiutando le sue accuse. Lo stesso terapeuta ebbe poi
modo di raccontare pubblicamente questo frammento di terapia presentandolo
(purtroppo!) come modello di intervento nei confronti di una paziente ‘simil-delirante’...
Come sarebbe stato diverso se avesse onestamente
detto alla paziente: «Mi sa che lei ha
ragione: mi stava raccontando di una sua sofferenza
e io mi sono concentrato invece su me e sulla risposta che avrei potuto darle…
ho agito come faceva suo padre»! Quanto
sarebbe stato utile e corretto un semplice riconoscimento
di un proprio errore! Mi ritornano spesso in
mente le parole di Isadore From, che usava
sempre ripeterci: «State attenti a non confondere e a non creare confusione nei pazienti». Allora mi sembrava la
raccomandazione ‘devota’ di un anziano, oggi so che è
la saggezza dell’onestà. E non è certo valida solo per la terapia!
Giovanni Salonia, L’onestà come competenza terapeutica, in GTK 6, Rivista di Psicoterapia,
Maggio 2016, pagg. 118-119
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