Il dire non è mai solo un dire ma è anche un rispondere. Calvino ci
ha ricordato che non si può scrivere la prima parola di un romanzo perché si
comincia sempre con la seconda. Già la saggezza ebraica aveva intuito che
l’alfabeto inizia con ‘beth’ e non con ‘aleph’, in quanto la prima parola è
impronunciabile (così rispose Jahvè ad aleph che
si lamentava di essere stata scalzata). In altre parole, l’abituale schema
della comunicazione (Emittente – Ricevente) è un po’ ingenuo. Chi inizia un
dialogo, in effetti, risponde ad uno dei tanti input provenienti dallo sfondo
della relazione. Quando due persone si incontrano, ancor prima della prima
parola che si diranno si trovano immerse in un mare di parole e di sensazioni
implicite. Questa traità preesistente quale sfondo ad ogni dire (che oggi viene
chiamata «intersoggettività» e che i terapeuti della Gestalt sessanta anni fa
chiamarono «sfondo relazionale») ci rende consapevoli che ogni ‘dire’ è, in
fondo, un rispondere a delle sensazioni, a delle parole ‘sottovoce’ che sono in
circolazione prima che l’emittente comunichi.
Giovanni
Salonia, Sulla Felicità e dintorni. Tra
corpo, parola e tempo, Ed. Il Pozzo di Giacobbe, p. 86
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